Dalla SARS al Covid: cosa è cambiato in vent’anni

Ogni epidemia è una storia a sé. Ma a distanza di due decenni, nella micro-pandemia da SARS e nella SARS-CoV-2 che ha originato il Covid scorgiamo tratti comuni. L’origine geografica del primo focolaio, come abbiamo visto, seppure resti il mistero sulle origini. La vocazione pandemica dei due coronavirus sconosciuti, nel panorama di un mondo freneticamente globalizzato. L’allarme, in scienza e coscienza, di medici che hanno pagato con la vita la prima esposizione al virus.
Hong Kong, ospedale durante il Covid-19

Venti anni fa, nel febbraio 2003, una forma virale del tutto sconosciuta viene identificata per la prima volta in Asia, denominata Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Il patogeno, mai visto prima nell’uomo, è intercettato in un paziente arrivato a Hong Kong dalla Cina per lavoro. Si scoprirà ben presto che corrisponde a un’infezione già avvistata nella provincia del Guandong nel novembre 2002 – una persona risulta deceduta a causa di una “patologia respiratoria acuta” dopo il 1° novembre 2002, ma senza il supporto di un’autopsia.

Carlo Urbani
Con inedita facilità di trasmissione, e senza conoscerne le cause, la malattia si diffonde nella Cina continentale, nel sostanziale silenzio di Pechino. L’azione del contagio viaggia con la velocità aerea di dieci pazienti che trasportano l’infezione in due ospedali di Hong Kong, a Singapore, Toronto e Hanoi. L’agente eziologico che causa la malattia viene scoperto a marzo 2003, soprattutto grazie al sacrificio di un funzionario dell’Oms, l’infettivologo italiano Carlo Urbani: fra i primi si è imbattuto negli effetti repentini di SARS in Vietnam e ha lanciato l’allarme, per poi morirne a marzo in un ospedale di Bangkok. Sì, perché non esistono diagnostici, cure o vaccini per contrastare il nuovo coronavirus, SARS-CoV.  Nonostante le severe linee guida emanate prontamente da molti paesi, a 11 settimane dall’identificazione del primo caso il virus è già presente in altri 27 paesi in America del Nord e del Sud, in Europa e – naturalmente – nelle regioni dell’Asia da cui ha preso avvio. La parabola della malattia dura circa sei mesi: raggiunge il suo picco alla fine di maggio e l’ultimo caso viene registrato il 13 luglio 2003. Si conteranno alla fine 8096 casi – più della metà (66%) in Cina e 774 decessi. Nel 21% di tutti i casi globali sarà il personale sanitario ad aver pagato il prezzo più alto.

Il dottor Zhong e Lin Wenliang

Il 30 gennaio 2020, il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) dichiara il focolaio epidemico da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 una emergenza sanitaria di rilevanza internazionale: il più alto livello di allarme. Incredibilmente, l’allerta non riceve grande attenzione dalla comunità internazionale, pur incuriosita da quanto sta accadendo in Cina, e dal vigore delle misure sanitarie adottate da Pechino. Il primo segnale all’Oms era giunto dalle autorità cinesi il 3 gennaio: una “polmonite virale di causa sconosciuta” registrata nella città di Wuhan, nella provincia dello Hubei. Il virus viene sequenziato da un centro di ricerca cinese che lo rende immediatamente accessibile alla comunità scientifica globale l’11 gennaio, in barba alle rigide gerarchie nazionali. E’ lo stesso giorno in cui le autorità notificano il primo decesso per quello che sarà presto conosciuto come Covid-19. Il 13 gennaio si registra il primo caso di con…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.