Armi nucleari: la scienza, la guerra, la pace

La storia del rapporto fra gli scienziati e la guerra è una storia di grandi conflitti di coscienza, costellata di battaglie pacifiste radicali. Gli stessi che contribuirono alla produzione delle prime armi nucleari furono ardenti sostenitori della pace e per tutta la vita si impegnarono nella causa del disarmo.

Il conflitto russo-ucraino ha dimostrato ancora una volta il ruolo fondamentale svolto nelle guerre dalla tecnologia, derivante a sua volta dal progresso scientifico. Oltre alla tecnologia direttamente utilizzata negli armamenti e in particolare nella produzione di armi nucleari, oggi giocano un ruolo importantissimo le tecnologie digitali adottate sul fronte comunicativo, permettendo di attuare una vera e propria guerra delle informazioni e modificando profondamente la comunicazione della guerra.

Se si guarda alla storia dell’umanità, ci si rende conto che è sempre accaduto che le nuove acquisizioni tecnologiche che via via si conquistavano finivano, prima o poi, per essere usate in campo bellico. Addirittura molte nuove tecnologie sono state sviluppate dapprima per finalità prettamente belliche e solo successivamente hanno avuto ricadute per uso pacifico.

Uno degli esempi più eclatanti è stato il cosiddetto Progetto Manhattan. Durato dal 1942 al 1946 e diretto, sul piano gestionale-amministrativo, dal generale Leslie Groves (1896-1970). Il Progetto arrivò a coinvolgere più di 130000 persone, in gran parte scienziati, e costò quasi 2 miliardi di dollari. Com’è noto esso portò alla realizzazione della bomba atomica, usata dagli americani la mattina del 6 agosto 1945 sulla città di Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki.

Naturalmente questo indusse approfondite riflessioni sui rapporti tra la scienza, la politica e il potere militare, generando talvolta paura e diffidenza nei confronti della ricerca scientifica da parte dell’opinione pubblica.

Gli stessi scienziati dovettero porsi problemi di coscienza. Julius Robert Oppenheimer (1904-1967), che fu direttore scientifico del Progetto Manhattan, dopo che la bomba atomica fu utilizzata, arrivò al punto di pronunciare la celebre frase:

In un senso crudo che non potrebbe essere cancellato da nessuna accezione volgare o umoristica, i fisici hanno conosciuto il peccato[1].

Poco prima di morire Oppenheimer ci tenne a precisare che il peccato cui si riferiva nella sua frase non era tanto quello dell’omicidio di massa di centinaia di migliaia di persone, bensì quello dell’orgoglio provato dai fisici nella costruzione della bomba[2].

Oppenheimer, sempre per motivi di coscienza, rifiutò di partecipare al successivo progetto di realizzazione della bomba a fusione (bomba H).

Se è dunque innegabile che molti scienziati abbiano contribuito, direttamente o indirettamente, alla corsa agli armamenti e quindi abbiano favorito guerre e distruzione, è però anche vero che non pochi ricercatori e spesso la stessa comunità scientifica nel suo insieme si sono più volte contraddistinti per l’impegno civile nella promozione della pace e nella lotta contro la folle corsa a…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
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le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.