“Il liberalismo in Europa ha trascurato la necessità di giustizia sociale”. Conversazione con Timothy Garton Ash.

Il celebre storico, giornalista e professore britannico Timothy Garton Ash, in Italia per presentare il suo libro “Patrie” (Garzanti), conversa con MicroMega su alcuni punti nodali riguardanti la sua visione dell’Europa, maturata in oltre cinquant’anni di viaggi e di vita, personale e professionale. Dal tradimento delle popolazioni dell’est e del sud, che non hanno goduto della “solidarietà nella libertà”, all’ambiguità irrisolta del concetto pur irrinunciabile di “sovranità”, alla necessità di ripensare il patriottismo, fino alle sfide epocali già emerse in questo presente, come la necessità di superare la visione xenofoba e securitaria delle migrazioni.

Comincerei da una considerazione che lei fa alla fine del suo libro, in cui afferma che l’Europa di oggi è nel complesso migliore della vita in Europa nel post Seconda guerra mondiale e negli anni Settanta del Novecento, quando lei, all’epoca un giovane Timothy Garton Ash curioso del mondo, diede inizio ai suoi viaggi che l’hanno portata poi a essere un convinto amante dell’Europa. Tuttavia, come lei stesso scrive, fra quelle epoche e l’oggi ci sono stati periodi, come per esempio i primissimi anni Novanta, in cui nel complesso i cittadini europei si sentivano più ottimisti e percepivano nella loro vita maggiore benessere rispetto a oggi. Basti pensare agli indici economici, nel caso dell’Italia impietosi: siamo l’unico Paese che percepisce un reddito inferiore rispetto al 1991. Forse l’affermazione che oggi in Europa si vive meglio andrebbe dunque ulteriormente relativizzata?

Sì, questo è il punto più critico che sottolineo nel libro, in quelle che ho definito come le diverse “postwar” vissute in Europa a cominciare da quella che segue la Seconda guerra mondiale. Se pensiamo all’Europa meridionale in particolare, se pensiamo a un giovane spagnolo, portoghese, greco, o italiano, tutti loro hanno buona ragione di ritenere che nei primi anni 2000 la vita in Europa fosse migliore di quella di oggi. La crisi finanziaria globale, la recessione delle ricchezze individuali, la crisi del debito e il livello di consapevolezza dell’ineguaglianza e della mancanza di opportunità nella vita, tutto questo rappresesenta uno dei cuori del problema. L’argomento in favore dell’Europa, durante i principali “postwar” compreso quello dell’Europa dell’est, era stato alla radice sempre lo stesso: abbiamo vissuto male, a causa di guerre e dittature, e ora vogliamo un luogo migliore in cui vivere, e quel luogo era l’Europa. Ma per un giovane italiano, greco, spagnolo, vale piuttosto l’argomento contrario. Abbiamo vissuto in luoghi migliori, e ora la nostra vita è peggiore di quella di prima, e una parte almeno della responsabilità di questo peggioramento risiede nell’Europa stessa. Non dico con questo che abbiano ragione, non sono sicuro che abbiano ragione. Ma questo sentimento è diffuso e bisogna farci i conti. Non esiste un modo unico di guardare all’Europa, che ci può apparire migliore o peggiore di un tempo a seconda di chi la guarda, di dove si posiziona chi pensa all’Europa. In questo momento, pensando alla gioventù dei vari Paesi europei, assistiamo ad alcuni fenomeni preoccupanti. Ci piace pensare che le giovani generazioni siano le più europeiste fra noi, ma questo non è necessariamente vero. In Polonia, dove si terranno importanti elezioni politiche fra una decina di giorni, molti giovani si ritrovano nelle posizioni di Confederazione Libertà e Indipendenza (Konfederacja), un partito fortemente euroscettico, nazionalista e contrario al sostegno alla resistenza ucraina.

Sembra che molti equivoci, differenze di pensiero e necessità di sciogliere i significati, nell’Europa di questi anni, ruotino attorno al concetto di “sovranità”. L’impressione è che rappresenti un concetto molto ambiguo, non affrontato in modo trasparente. Il concetto di sovranità da un certo punto di vista rappresenta la base stessa, la prima fondazione, delle democrazie liberali del dopoguerra: l’Italia, nel primo articolo della sua Costituzione, si statuisce come Repubblica sovrana. O pensiamo alla centralità che riveste, per il popolo ucraino, oggi, la difesa della propria sovranità. Allo stesso tempo, la sovranità viene usata in chiave antidemocratica, illiberale, pensiamo a tutte le correnti e compagini europee che abbiamo definito “sovraniste” e che riteniamo in qualche forma stiano rappresentando una minaccia per la democrazia. Come facciamo i conti con il concetto di sovranità?

Da un certo punto di vista, mi ritrovo spesso a pensare che sarebbe meglio se non usassimo pi…

“L’Ucraina è il campo di battaglia su cui si gioca il futuro dell’Europa”. Intervista a Karl Schlögel

In un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione all’Ehess di Parigi del suo nuovo volume in francese sulla guerra in Ucraina – “L’avenir se joue à Kyiv. Léçons ukrainiennes” (“L’avvenire si gioca a Kiev. Lezioni ucraine”) –, lo storico tedesco Karl Schlögel evidenzia l’importanza per l’Europa della guerra di liberazione dell’Ucraina. “È il popolo ucraino, attaccato dalla Russia neo-totalitaria e dal russofascismo, a resistere in prima linea per l’Europa. Combattendo per la sua libertà, difende anche la nostra”.

La Bestia del nuovo fascismo. Intervista a Paolo Berizzi

Paolo Berizzi, giornalista di “Repubblica” che da anni conduce inchieste sul nuovo fascismo, ha recentemente pubblicato per Rizzoli il libro “Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Il ritorno della Bestia non coincide con quello del fascismo storico ma con quello di un fascismo nuovo, pop, che però con il primo condivide alcune caratteristiche, le peggiori che l’Italia abbia espresso e continua a esprimere. Ne parliamo con l’autore, che vive da anni sotto scorta in seguito a minacce di gruppi neofascisti e neonazisti.

Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

Il 16 maggio 2024 ricorre il decimo anniversario del lancio, da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, dell’offensiva chiamata Operazione Dignità. Con l’occasione ripercorriamo le tappe fondamentali del decennio appena trascorso per contestualizzare lo stato attuale della Libia. O meglio, delle Libie.