Trump e le altre democrature: perché votiamo chi ci fa stare peggio

Se Trump vincerà le prossime elezioni americane la democrazia negli Stati Uniti subirà un durissimo colpo. Ma non si tratterebbe di un caso isolato perché segnali di allarme derivanti dall’arretramento democratico liberale e dalla rinascita autoritaria in altri Paesi giungono da ogni parte del globo. Ma quali sono i meccanismi che nell’ambito dell’agire politico portano gli elettori a scegliere soluzioni che portano a un peggioramento della stessa società in cui vivono? E in che modo l’affermazione perentoria di regimi autoritari li porterebbe a radicarsi ulteriormente?

“Negli Stati Uniti esiste un percorso chiaro verso la dittatura, che si accorcia ogni giorno di più. Se Trump vincerà le elezioni, diventerà immediatamente la persona più potente che abbia mai ricoperto quella carica. Pensate al potere di un uomo che si fa eleggere presidente nonostante le accuse, le apparizioni in tribunale e forse anche la condanna. Obbedirebbe a una direttiva della Corte Suprema? Un Congresso in futuro lo fermerà? E come risponderanno gli americani ai primi segni di un regime di persecuzione politica? Si ribelleranno indignati? Non contateci troppo. La dittatura di Trump non sarà una tirannia comunista, in cui quasi tutti percepiscono l’oppressione e le loro vite ne sono plasmate. Nelle tirannie conservatrici e illiberali, ci sono tutti i tipi di limitazioni delle libertà, ma è un problema per le persone soltanto nella misura in cui attribuiscono valore a quelle libertà, e molte persone non lo fanno. Il fatto che questa tirannia dipenderà interamente dai capricci di un uomo significherà che i diritti degli americani saranno condizionati anziché garantiti. Ma se la maggior parte degli americani può svolgere la propria vita quotidiana senza intoppi, potrebbe non preoccuparsi. Si è messa in moto anche una psicologia paralizzante di appeasement. A ogni stadio, il prezzo per fermare Trump è aumentato sempre di più. Ma aspettate che Trump torni al potere e il prezzo di opporsi a lui diventerà persecuzione, perdita economica e pure la perdita della libertà. Stiamo scivolando verso la dittatura, come si dice, not with a bang but a whimper, non con uno schianto ma con un piagnucolio”.[i] Trump non agisce da solo. Assistiamo a segnali di allarme derivanti dall’arretramento democratico liberale e dalla rinascita autoritaria di Paesi come India, Ungheria, Venezuela, Turchia, Argentina, mentre leader forti in Russia, Cina, Iran, Corea del Nord e Arabia Saudita sono diventati più repressivi in patria e più inseriti in reti di alleanze internazionali. L’unica democrazia araba (Tunisia) ha subito un colpo di Stato esecutivo, la più promettente democrazia africana (Ghana) si è silenziosamente deteriorata sotto il peso di una crescente corruzione e disaffezione, e potremmo continuare.[ii]

Alcuni economisti hanno offerto una spiegazione, parziale ma potente, del riemergere dei demagoghi estremisti e dei populismi, ossia dell’affermarsi della “democratura”.[iii] Secondo questi studiosi le persone tendono nella sfera politica all’ignoranza e all’irrazionalità. Questo succede perché, quando si tratta di votare e di partecipare, la conoscenza e la razionalità non sono premiate, mentre l’ignoranza e l’irrazionalità non sono punite. L’ignoranza è una mancanza di informazioni su una determinata questione. Le persone tendono a rimanere ignoranti su molte questioni di interesse generale. I sondaggi mostrano regolarmente che esse hanno una conoscenza sorprendentemente scarsa del mondo al di fuori delle loro vite personali. Ciascuna di loro, in effetti, non ha alcun incentivo a raccogliere quel tipo di informazioni: anche supponendo che i suoi costi di apprendimento siano bassi, sol…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.