La laicità, principio universale

Non è possibile voler difendere la parità di diritti sostenendo il relativismo culturale a scapito dell’universalità del diritto. La laicità è un principio fondamentale e universale, un valore da propugnare per difendere i diritti di milioni di donne nel mondo, oppresse e spesso anche uccise dal radicalismo religioso, soprattutto quello islamico. Non contrastare quest’ultimo per non incorrere in presunte accuse di “islamofobia” significa abbandonare queste donne a loro stesse, precludendogli un futuro di libertà e autodeterminazione.

Sono felice di essere con voi oggi per celebrare i 25 anni di Regards de femmes. 25 anni, un’età bellissima che si dice piena di promesse, quella in cui tante giovani donne libere guardano al futuro con entusiasmo, speranza e fiducia. Questo anniversario è per noi occasione per riflettere insieme sui diritti delle donne nel mondo, sulle lotte vittoriose e sulle battaglie che restano da combattere.
Oggi vi parlerò della laicità come principio universale. A poco più di un anno dall’inizio della rivoluzione “Donna, vita, libertà”, che ha appena ricevuto il Premio Sakharov 2023 insieme a Jina Mahsa Amini, che lo ha ricevuto postumo, vorrei condividere con voi alcune considerazioni sugli eventi dell’anno passato, riflettere con voi su cosa dicono di noi e del nostro modello di laicità i recenti avvenimenti in Iran. Alcuni parlano del nostro modello di “laicità alla francese” come di un modello singolare, talvolta addirittura come di una stranezza o di un’anomalia, suggerendo che sia giunto il momento per noi di seguire quella tendenza del mondo il cui corso naturale ci inviterebbe a optare per un modello che consentirebbe a culture diverse di coesistere pacificamente. Si dice del nostro modello laico e dell’universalità dei diritti di cui è garante che sarebbe un modello specifico della Francia che essa vorrebbe imporre agli altri come potenza coloniale.
Lo dirò senza mezzi termini: non è così.

Mentre in Francia le pressioni dell’Islam politico mirano a limitare le nostre conquiste, in Iran, nel 2018 una donna come Fatemeh Sepehri, vedova di un “martire” della guerra Iran-Iraq, non atea, ha firmato un testo che chiede le dimissioni di Khamenei dall’incarico di guida suprema, l’abolizione pura e semplice della Repubblica islamica e l’instaurazione di una democrazia laica.

In un momento in cui le giovani donne afghane piangono perché viene loro negato l’accesso all’istruzione, le ragazze francesi sfidano le scuole della Repubblica e il modello di emancipazione che essa consente. Dicono di indossare abiti che non hanno nulla di religioso per lamentarsi dell’“islamofobia” quando viene detto loro che la moda che seguono – che secondo alcuni è ideale per la mezza stagione – non sembra proprio essere la più adatta al riscaldamento globale e ai suoi 30 gradi di inizio settembre. Queste giovani, fanatiche di un’accezione rigorista della religione, la pongono al di sopra dell’acquisizione di un sapere che emancipa e di un lavoro che libera, mettendo a rischio quanto meno il loro stesso futuro.

Nei tempi bui che stiamo attraversando, non posso nascondere la mia rabbia verso coloro che rifiutano di nominare le cose per come sono e contro coloro che, come il politico Manuel Bompard, denunciano la “polizia dell’abbigliamento” e tracciano un parallelo tra il nostro Stato di diritto e il regime totalitario iraniano che sta uccidendo i suoi giovani. Mentre in Iran si aspira a una laicità in stile francese e al nostro Stato di diritto, questi politici irresponsabili danneggiano gravemente le nostre preziose conquiste, che sono proprio ciò per cui le donne iraniane stanno manifestando, rischiando la vita.

Se è ovvio che la questione del velo non si pone negli stessi termini in Iran e in Francia, che non si tratta certo di chiedere il divieto del velo negli spazi pubblici, è comunque importante pensare a cosa il velo è.
“Hiz toyi, harze toyi, dokhtare âzâdeh manam”, 26 ottobre 2022.

“Quello…

“L’Ucraina è il campo di battaglia su cui si gioca il futuro dell’Europa”. Intervista a Karl Schlögel

In un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione all’Ehess di Parigi del suo nuovo volume in francese sulla guerra in Ucraina – “L’avenir se joue à Kyiv. Léçons ukrainiennes” (“L’avvenire si gioca a Kiev. Lezioni ucraine”) –, lo storico tedesco Karl Schlögel evidenzia l’importanza per l’Europa della guerra di liberazione dell’Ucraina. “È il popolo ucraino, attaccato dalla Russia neo-totalitaria e dal russofascismo, a resistere in prima linea per l’Europa. Combattendo per la sua libertà, difende anche la nostra”.

La Bestia del nuovo fascismo. Intervista a Paolo Berizzi

Paolo Berizzi, giornalista di “Repubblica” che da anni conduce inchieste sul nuovo fascismo, ha recentemente pubblicato per Rizzoli il libro “Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Il ritorno della Bestia non coincide con quello del fascismo storico ma con quello di un fascismo nuovo, pop, che però con il primo condivide alcune caratteristiche, le peggiori che l’Italia abbia espresso e continua a esprimere. Ne parliamo con l’autore, che vive da anni sotto scorta in seguito a minacce di gruppi neofascisti e neonazisti.

Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

Il 16 maggio 2024 ricorre il decimo anniversario del lancio, da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, dell’offensiva chiamata Operazione Dignità. Con l’occasione ripercorriamo le tappe fondamentali del decennio appena trascorso per contestualizzare lo stato attuale della Libia. O meglio, delle Libie.