L’accordo fra Unione Europea ed Egitto è già un fallimento

L'Egitto è un Paese al collasso in cui, oltre alla povertà endemica, fra gli abitanti cova ancora sotto la cenere il fuoco della rivoluzione. Gli accordi stretti con il governo italiano servono ad Al Sisi per cercare di mantenere il controllo, ma rischiano per molti versi di peggiorare la situazione del Paese. L'Europa, in questo quadro, prosegue con la sua solita politica miope: pretendere di fermare i flussi umani favorendo le dittature e i loro metodi violenti e persecutori.

Un uomo solo in cima al palazzo, sopra un’enorme insegna pubblicitaria di una compagnia telefonica, sventola una bandiera palestinese. E grida: «Non ho paura di te, Al-Sisi». Siamo ad Alessandria, in Egitto: l’uomo è Abdel-Gawad Muhammad al-Sahlamy, un ufficiale della polizia, che spogliatosi della divisa, ha manifestato da solo reclamando libertà di parola. Da venerdì primo marzo, dopo l’arresto, non si hanno più sue notizie.

Nour Khalil, direttore della ong Refugees Platform in Egypt (Rpe) e avvocato e difensore dei diritti dei rifugiati, porta questo episodio come esempio del clima che si respira in Egitto, dove domenica 17 marzo l’Unione Europea e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi hanno siglato un accordo per 7,4 miliardi di euro con al centro cooperazione economica, energetica e gestione dei flussi migratori.

Una partnership strategica che ha come primo obiettivo quello di non destabilizzare il Paese, in profondissima crisi economica, con l’ingresso di migranti subsahariani che scappano dal Sudan da sud e profughi palestinesi in fuga dal valico di Rafah nella regione orientale del Sinai. Ma che rischia di diventare l’ennesimo afflusso di denaro a favore delle élite dell’esercito che reggono il governo egiziano, compromettendo ogni iniziativa economica privata e la conseguente crescita del Paese.

Pochi giorni prima della visita al Cairo, infatti, nella plenaria dell’Europarlamento si erano già levate le prime voci critiche. L’esborso di fondi europei all’Egitto è «problematico e ingiustificato», protestava il verde Mounir Satouri, relatore al Parlamento Ue per i rapporti con l’Egitto. Soprattutto se si considera la «catastrofica situazione della democrazia e dei diritti umani. Vogliamo sostenere finanziariamente i regimi di questa regione? Questa non è l’Ue che vogliamo».

La domenica seguente, però, la delegazione era al Cairo, guidata dalla presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, in corsa per il secondo mandato alle elezioni europee di giugno, con al seguito la premier italiana, Giorgia Meloni, e i leader di Cipro, Grecia, Belgio e Austria, in vista di una serie di accordi bilaterali con l’Egitto. L’accordo prevede 5 miliardi di euro in prestiti a tassi agevolati, 1,8 miliardi di investimenti addizionali e 600 milioni a fondo perduto. Tra questi ultimi, 200 milioni sono destinati alla gestione dei flussi migratori e alla lotta contro i trafficanti di esseri umani. Un obiettivo di cooperazione che per l’Italia di Meloni è «uno dei temi del G7», nonché al centro «dell’alleanza nazionale» che il nostro Paese sta lanciando insieme, tra gli altri Stati africani, all’Egitto, definito dal vertice dell’Ue come un «pilastro della sicurezza del Mediterraneo».

L’Egitto di Al-Sisi sostiene di ospitare 9 milioni di migranti e rifugiati (dati diffusi dall’Oim). L’Unhcr, però, stima che tra milioni di persone straniere residenti nel Paese, quelle con lo status di rifugiato o di richiedente asilo sono circa 500mila. E da anni è in atto un processo progressivo di militarizzazione dei confini e deportazione dei richiedenti asilo, denunciato da Human Rights Watch.

Khalil cita il rapporto The crime: seeking asylum in Egypt, della sua organizzazione: «Secondo le dichiarazioni ufficiali della polizia di frontiera egiziana, tra il 2016 e il 2021 sono state arrestate più di 80 mila persone in fuga o che cercavano di entrare in Egitto in modo irregolare». Dopo arresti, spesso seguiti a sparizioni, vessazioni e torture, le persone subiscono processi ingiusti, fino alla prigionia nei luoghi di detenzione egiziani, come quelli nel Governatorato di Assuan, al confine con il Sudan, dove è in corso la guerra con il più alto numero di pro…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.