Elezioni in Polonia, un Paese spaccato fra paure e speranze

La paura ha certamente avuto un peso nei risultati delle elezioni in Polonia di questo ottobre. Di perdere la sovranità minacciata da una guerra ai confini, o il benessere raggiunto dopo lunghi anni di pesanti sacrifici, o di vedere limitate le libertà personali a causa di una gestione opaca delle forze di polizia e dell’esercito. Ma ha trovato spazio anche la speranza, incarnata dalla vivacità di quella parte di società che mantiene viva la fiaccola della solidarietà e non cede alle sirene del nazionalismo.

Mentre scrivo queste righe, le elezioni in Polonia si sono concluse da qualche ora e lo spoglio parziale delle schede restituisce l’immagine di un Paese profondamente diviso sulle grandi questioni riguardanti il suo futuro, in particolare i rapporti con l’Unione Europea, che hanno segnato la parabola dei nazionalpopulisti polacchi iniziata nel 2015 e ormai giunta al capolinea. A confrontarsi ancora una volta sono state le due Polonie, contrapposte anche sul piano della distribuzione dei voti tra una parte – quella occidentale – in cui le forze liberali e progressiste hanno conquistato la maggioranza dei seggi, e un’altra, la Polonia orientale e delle campagne, in cui a prevalere è stata la “Destra Unita”, euroscettica e avversaria della “Coalizione civica” di Donald Tusk, il vero vincitore di questa storica tornata elettorale. A pesare sulla sconfitta della formazione nazionalpopulista sono state questioni interne e di natura internazionale. I governi succedutisi dal 2015 a oggi hanno prodotto un arretramento della democrazia sul piano dei diritti individuali, del pluralismo dell’informazione e della separazione dei poteri. Proprio quest’ultimo aspetto ha costituito il motivo principale dell’insanabile divergenza con l’Ue, sfociata nelle sanzioni comunitarie e nel congelamento dei finanziamenti straordinari destinati allo Stato polacco.

Negli ultimi anni, le questioni internazionali che hanno eroso il consenso della compagine governativa sono state fondamentalmente due: la pandemia e la guerra in Ucraina, cui si è aggiunta un’inflazione galoppante che ha colpito prevalentemente le classi meno abbienti. Il partito di “Diritto e Giustizia“, nonostante un contesto internazionale che ha messo a dura prova la tenuta della coalizione di maggioranza, e che in altre realtà europee ha causato la caduta dei governi e lo stravolgimento del quadro politico nazionale, domenica è riuscito a conquistare quasi il 37% dei voti rimanendo di gran lunga il primo partito nel Sejm. I circa otto milioni di cittadini che hanno votato per i neonazionalisti hanno creduto al sogno di grandeur polacca coltivato da Jarosław Kaczyński.

La Polonia, come è stato detto, da Paese “paradiso degli investimenti stranieri e della manodopera a basso costo” (parole di Morawiecki) è diventata lo Stato in cui l’economia cresce maggiormente su base annua in Europa e che si pone ragionevolmente l’obiettivo “di raggiungere nel giro di pochi anni il livello di sviluppo della Francia e della Germania”, citando Kaczyński. Oltre ai sogni di grandezza, che hanno fatto breccia in una coscienza comune in cui l’eredità dei traumi storici nazionali gioca un ruolo di primaria importanza, Kaczyński ha tentato di cavalcare la paura derivante dalla guerra e dalle mire putiniane su questa parte d’Europa che Tusk, al tempo in cui era stato premier, avrebbe colpevolmente avvallato allineandosi alla politica di Angela Merkel nei confronti della Russia e tradendo l’interesse nazionale in cambio della carica di Presidente del Consiglio Europeo. Certamente la paura ha avuto un suo peso nel decidere l’esito della consultazione elettorale di domenica sco…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.