Extraprofitti e speculazione stanno strozzando i lavoratori: serve una nuova scala mobile

Da circa un anno e mezzo l'inflazione è aumentata paurosamente e cresce tuttora. A causarla, come ha recentemente certificato perfino il Fondo Monetario Internazionale, soprattutto l'eccesso, anzi la sovrabbondanza, di profitti da parte dei colossi multinazionali dell'industria, del trading e della finanza. I prezzi sono saliti tanto e in poco tempo, i profitti anche; i salari e gli stipendi, invece, non hanno tenuto il passo con il carovita, con i lavoratori di tutti i livelli che stanno perdendo una quota importante del loro potere d'acquisto. L'indicizzazione degli stipendi ai prezzi è una semplice questione di giustizia sociale. L'inflazione fa crescere le diseguaglianze e diffonde povertà.

I sondaggi più recenti mostrano che la preoccupazione più grande degli italiani è il carovita. Un problema che fino a poco tempo fa sembrava scomparso. Negli ultimi 15 anni i prezzi sono stagnati in tutti i Paesi occidentali e la difficoltà consisteva piuttosto nel tentare di alimentare l’inflazione per fare ripartire l’economia. Ora però la situazione è completamente cambiata. L’inflazione è esplosa con la fine del Covid e la guerra in Ucraina, e presumibilmente rimarrà elevata a causa di molti fattori come: il perdurante conflitto ucraino e quello nuovo e drammatico in Medio-Oriente, la guerra commerciale tra USA e Cina e il tentativo di emarginare il dragone (l’“officina del mondo”) dal commercio globale, la crescente speculazione finanziaria e i costosi programmi di transizione energetica. I debiti aumentano e hanno raggiunto oltre il 300% del PIL globale; gli interessi pesano sulle popolazioni. Schiacciati dai debiti, per frenare l’inflazione (e per evitare l’aumento dei salari) le banche centrali e i Governi applicano manovre restrittive che provocano recessione e disoccupazione. L’inflazione in Europa sta effettivamente calando: ma così la medicina rischia di ammazzare il malato.

In questo nuovo contesto la sinistra non può permettersi il lusso di evitare il problema del caroprezzi e di non elaborare una proposta per l’introduzione di un meccanismo automatico di recupero delle retribuzioni mangiate dall’inflazione. Se non facesse una proposta di questo tipo dimostrerebbe la sua enorme debolezza non solo sul piano negoziale ma anche sul piano ideale, culturale e politico. La sinistra infatti è utile solo se intende lottare per difendere concretamente il lavoro e le famiglie, per la giustizia sociale; altrimenti diventa inutile, si trasforma in un gioco da salotto.

È chiaro che le famiglie più povere sono ovviamente le più colpite. Pochi dati illustrano una situazione drammatica in Europa e soprattutto in Italia. Secondo le recenti rilevazioni di Eurostat l’Italia è l’unico fra i grandi Paesi europei in cui la quota di famiglie con almeno qualche difficoltà a far quadrare i conti a fine mese nel 2022 era sopra il 63%. L’Italia supera Francia, Polonia, Spagna e Portogallo; la media a livello continentale, secondo Eurostat, si attesta al 45,4%. Poco meno del 50% delle famiglie della ricca Europa fatica a fare quadrare i conti a fine mese.

L’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’organismo internazionale di studi economici sui Paesi avanzati, indica che nel primo trimestre del 2023 le retribuzioni reali erano diminuite in Europa rispetto a quello precedente in 22 Paesi su 24. L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse: i lavoratori italiani

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.