Berlusconi, 30 anni fa la favoletta dell'”improvvisa” discesa in campo

Il 26 gennaio 2024 dovrebbe ricorrere il trentennale del celebre discorso della discesa in campo di Silvio Berlusconi. Un condizionale che vuole sottolineare come quella sia una data farlocca, uno spartiacque cronologico buono per la vulgata, poiché l’entrata del Cavaliere nell’agone della politica è stata preparata molto prima. Soprattutto negli Stati Uniti, con la svolta reaganiana e i metodi comunicativi dei think thanks di estrema destra.

Berlusconi è il più grande piazzista che

ci sia, non in Italia, ma nel mondo”.[1]

Indro Montanelli

Geniale, disinvolto, padrone di sé e di facile

comunicativa, suscitava qualche invidia il

suo buon gusto nel vestire”.[2]

Sandro Bondi

Una cronologia farlocca

Le cronache indicano nel 26 gennaio 1994 la data della fatidica discesa nell’arena della politica nazionale di Silvio Berlusconi; trent’anni fa, ma anche due anni dopo il terremoto forza dodici di Tangentopoli, che il 17 febbraio 1992 – con l’arresto dell’amministratore craxiano del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa – determinò il collasso e poi la dissoluzione del sistema di potere nella tarda Prima Repubblica. Ossia l’annuncio della costituzione promossa dal tycoon di un partito politico – Forza Italia – candidato a raccogliere le spoglie delle forze liberal-democratiche e dei rispettivi elettorati che la stagione giudiziaria, avviata dalla Procura di Milano, aveva irrimediabilmente destabilizzato.

Questa la vulgata corrente, con relativa cronologia ufficiale, ad uso di chi voleva (e si ostina tuttora a) credere alle narrazioni illusionistiche che improntano fin dall’inizio la retorica berlusconiana. Ossia la leggenda di un’epica cavalcata che nel giro di due mesi (26 gennaio/27 marzo) porta un’invenzione estemporanea ad assurgere a primo partito italiano con oltre il 21% dei suffragi, tanto da consentire al proprio (sedicente) leader dilettante di farsi nominare capo del governo il 10 maggio di quello stesso anno.

Questo per mettere in preallarme chi volesse appurare quanto sta dietro le quinte della messa in scena dell’apparente remake di Mr. Smith va a Washington (il film di Frank Capra del 1939 in cui un onesto cittadino, fuori dai giochi di potere, sconfigge i politici disonesti e maneggioni), allestita da un personaggio da sempre limitrofo al sistema partitico italiano, vuoi negli scambi affaristici (il via libera non disinteressato del PCI alla conquista del monopolio pubblicitario televisivo dell’allora Unione Sovietica), sia – soprattutto – come ufficiale pagatore del leder socialista Bettino Craxi, beneficiario degli affari immobiliaristici e non solo nell’area milanese amministrata dai sindaci PSI.

Quel Craxi che, presentendo la fine della sua rendita di posizione nazionale, da tempo sollecitava il fido Silvio a predisporsi come soluzione di riserva nel caso del crollo della Prima Repubblica. Mettendo a frutto il suo patrimonio di visibilità televisiva (sino ad allora tutelato proprio da leader socialista) e calcistica. Missione a cui Berlusconi si preparava coinvolgendo la potente macchina a disposizione per la raccolta pubblicitaria (Publitalia, guidata dal fido Marcello Dell’Utri, uno dei più sfegatati propugnatori della “discesa in campo” del boss) e mettendo all’opera gli spiriti animali con cui si era fatto largo, sgomitando alla grande nel mondo del business: l’ultra-spregiudicatezza e l’abilità imbonitoria. In entrambi i casi, un’incommensurabile pratica di cinismo.

Difatti, se qualcuno si prendesse la briga di investigare riguardo al succitato “dietro le quinte”, scoprirebbe quanto già ben si sapeva negli ambienti a…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.