Giù le mani dai capelli delle donne (e dal resto)

Nel loro libro “Anatomia dell’oppressione” Inna Shevchenko e Pauline Hillier, attiviste del movimento femminista Femen, si scagliano con veemenza contro l’oppressione del corpo femminile operata attraverso i secoli dalle grandi religioni monoteiste. Un libro scomodo, che non ha paura di attaccare frontalmente le grandi confessioni e che per questo è stato difficile portare in Italia. Ma che proprio per tale ragione si rivela un testo essenziale per sradicare l’oppressione del patriarcato.

“Le religioni che affermano che siamo il sesso inferiore mentono, i loro libri mentono, le loro istituzioni mentono, i loro ingiusti precetti sono subdole bugie che servono a giustificare orrori, ingiustizie e vite spezzate: le nostre. Non esiste creatura umana inferiore a un’altra, questo è l’unico principio universale e l’unica verità. Gli uomini stessi se ne devono convincere: il sistema patriarcale è una prigione per tutti gli individui e sono in molti a rifiutarlo, perché non corrisponde alla loro moderna visione di giustizia e di uguaglianza, tuttavia ‘molti’ non è ancora abbastanza, questo libro li vuole convincere tutti”. (da Anatomia dell’oppressione)

Che il corpo delle donne sia uno degli obiettivi principali, tra i più bersagliati dalla repressione patriarcale, della quale le religioni, tutte, sono potenti alleate, è cosa nota dagli albori della critica femminista. Degno erede di testi storici come Nato di donna di Adrienne Rich, Il mito della bellezza di Naomi Wolf o Il potere della bellezza di Nancy Friday (solo per citarne alcuni dello scorso secolo), che hanno aperto la strada della analisi del corpo come indicatore storico e politico della condizione umana femminile, c’è un libro che non dovrebbe mancare nella biblioteca laica di ogni attivista. Il suo titolo, Anatomia dell’oppressione (Ananke Lab, 2018), dice molto sull’intento delle due autrici, Inna Shevchenko e Pauline Hillier, attiviste del movimento femminista Femen.

Ho portato il testo – in originale in lingua francese – con enorme fatica in Italia, dove è lecita la critica religiosa al cattolicesimo e all’ebraismo, ma è più difficile quella verso l’Islam perché, specialmente a sinistra, vige un pericoloso corto circuito tra pensiero critico e paura del razzismo. Anatomia dell’oppressione è un libro potente e diretto, perché prende in esame la violenza patriarcale sul corpo femminile partendo dai testi sacri e dalla ferocia concreta che gli “uomini di fede” e gli Stati nazionali esercitano nello spazio pubblico contro la libertà delle donne.

Dai capelli ai piedi, passando per il seno, il ventre, i genitali, le mestruazioni, il parto, la sessualità: soffermarsi sulle singole parti del corpo femminile e su come le religioni (cattolica, islamica ed ebraica per citare le più diffuse al mondo) sezionano, mortificano, costringono e ingabbiano il corpo delle donne è l’inizio di un incubo: il testo ci entra dentro, con dovizia di particolari, citazioni dai testi sacri e analisi delle conseguenze sociali che, nei secoli fino ai giorni nostri, si sono incarnate nel dolore della coercizione dei corpi femminili. E la contemporaneità ci consegna una cronaca pressoché quotidiana di attacchi alle libertà civile delle donne in ogni angolo del pianeta. La sentenza che vieta l’aborto in alcuni Stati USA promette di pesare anche alle prossime presidenziali: sulla libertà di interrompere la gravidanza si g…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.