Donne partigiane: la Resistenza fu anche femminile

Che la Storia abbia trascurato, intenzionalmente o per distrazione, tante donne è una verità incontrovertibile, che valse anche per le donne partigiane nella Resistenza. E questo non perché gli uomini siano più forti, ma perché hanno avuto il monopolio della cultura e del potere, entrambi indispensabili per redigere i documenti su cui si costruiscono l'una e l'altro.

“Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore”
Italo Calvino

Nel 2012 uscì Libere sempre, libro in cui un’ex partigiana di 87 anni scrive una lettera a una ragazza incontrata per caso in un parco e parla di sé, della propria gioventù e della scelta, rivelatasi fondamentale, di far parte della lotta per la Liberazione: quella donna era Marisa Ombra, vicepresidente dell’ANPI nazionale, staffetta attiva nei Gruppi di Difesa della Donna, ex dirigente dell’UDI, morta nel 2019, dopo una vita di militanza in favore delle donne.

Il libro racconta di un’adolescente che ha sconfitto l’anoressia riempiendo quel vuoto con l’impegno politico, e il “politico”, nei tempi bui della sua giovinezza, consisteva nello scegliere se stare con i nazisti e i repubblichini oppure cercare di dare una dignità a quell’Italia che lottava per riconquistare l’umanità persa.

“Posso dirmi molto fortunata – confesserà poi – perché è stata la vita stessa a presentarmi la via d’uscita. Accadde quando di anni ne avevo ormai diciassette. Un gesto di mio padre mi obbligò a uscire dal cerchio chiuso delle domande senza risposta in cui stavo sempre più asserragliata e a guardare fuori. Il mondo aveva preso fuoco. C’erano delle urgenze. Le mie angosce potevano aspettare. C’era qualcosa da fare subito.”

E lei scelse, scelse di stare con la Resistenza, con i partigiani, con quegli italiani che non avevano voluto indossare la camicia nera. Era libera, una libertà faticosa, perchè richiede una continua apertura all’esterno: “l’attenzione verso il mondo e verso gli altri, e quindi verso se stessi, è il primo requisito per imparare a esseri liberi”.[1] Anche la Resistenza, allora, era declinata al maschile: che la storia abbia trascurato, intenzionalmente o per distrazione – una distrazione comunque colpevole e discriminante – tante figure femminili è una verità incontrovertibile. E questo non perché gli uomini siano più forti, ma perché hanno avuto il monopolio della cultura e del potere, entrambi indispensabili per redigere i documenti su cui la si costruisce. Chiunque abbia avuto a disposizione gli strumenti per fissare…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.