Il cuore verso Kyïv: breve viaggio nella comunità ucraina in Italia

Un reportage fra i pensieri e i tormenti dei cittadini che compongono la comunità ucraina in Italia. Diverse le esperienze, diverse le storie e i punti di vista, ma non manca il filo conduttore: il sentimento di sentirsi traditi dal pacifismo “di sinistra”.
Comunità ucraina in Italia

Gli ucraini sono la quarta comunità straniera extra-UE presente in Italia, con oltre 220.000 persone regolarmente soggiornanti, di cui circa l’80% donne. Nonostante la rilevanza numerica, prima del 24 febbraio 2022 la comunità ucraina in Italia non era mai stata oggetto di particolari attenzioni, probabilmente per il suo alto livello di integrazione e il quasi inesistente coinvolgimento di suoi membri in quegli episodi di criminalità che risultano tanto utili a certa propaganda politica. L’aggressione russa ha portato l’Ucraina al centro dell’attenzione e, al tempo stesso, messo in luce quanto poco fossero conosciute la storia e la realtà di quel Paese e del suo popolo. Anche la rivoluzione di Piazza Maidan, l’invasione russa della Crimea e la guerra nel Donbas non avevano prodotto un particolare interesse da parte dell’opinione pubblica, a parte qualche settore di attivisti politici, principalmente di estrema destra ma anche di “sinistra”. In particolare, fra gli attivisti della cosiddetta sinistra radicale ha preso piede la narrazione che presenta gli Ucraini in generale come “nazisti” e il governo ucraino – democraticamente eletto – come “la giunta golpista di Kiev”.

L’appello: “Nulla su di noi senza di noi”

La percezione degli ucraini come criptonazisti persiste nelle convinzioni e, di conseguenza, nel linguaggio non solo della cosiddetta sinistra radicale, ma anche in vasti settori della sinistra in generale e dello stesso movimento pacifista. L’aspetto più perturbante nell’atteggiamento di gran parte del mondo pacifista consiste nel disinteresse mostrato verso quelli che, loro malgrado, sono i protagonisti degli eventi, disinteresse analogo a quello mostrato verso i russi che si oppongono alla guerra di Putin e che pagano un prezzo molto alto per il loro coraggio. L’appello promosso da molte realtà della società civile ucraina e rivolto ai pacifisti occidentali si intitola significativamente “Nulla di noi senza di noi”, stigmatizzando le tante iniziative e manifestazioni sulla guerra in Ucraina che ignorano completamente il punto di vista e le ragioni delle vittime dell’aggressione. Questo appello segue quello lanciato dalle femministe ucraine l’estate scorsa, totalmente ignorato dalle loro compagne italiane.

Nel nostro Paese molte personalità, forze politiche e associative limitano le loro rivendicazioni “pacifiste” alle richieste di fermare l’invio di aiuti militari all’Ucraina e di revocare le sanzioni economiche alla Russia. Se queste condizioni venissero soddisfatte, in assenza di qualunque disponibilità negoziale da parte della Russia, il risultato sarebbe evidentemente quello di consegnare l’Ucraina nelle mani dell’aggressore. È chiaro che occorra una buona dose di ingenuità per non vedere come le motivazioni del sostegno occidentale alla resistenza ucraina non abbiano nulla a che vedere con un genuino spirito di solidarietà e come la guerra gonfi i bilanci del complesso militar-industriale occidentale, a tutto discapito delle necessità reali di Paesi come l’Italia, che avrebbero bisogno di investire nella spesa soc…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.