Come si è arrivati alla guerra in Ucraina: la prevedibile irrazionalità di Vladimir Putin

L’invasione su larga scala dell’Ucraina avviata due anni fa da Vladimir Putin ha colto tutti di sorpresa. Eppure, una serie di elementi indicano che la guerra in Ucraina era un’opzione sul piatto fin dalla disgregazione stessa delle repubbliche sovietiche; qualcosa in potenza all’interno delle dinamiche di potere russe, come un’opzione sul (lungo) tavolo del Cremlino nel caso si fossero date alcune condizioni e si fossero verificati determinati sviluppi.

Con l’appropinquarsi del terzo anno dell’invasione su larga scala della Russia in Ucraina, prevale un senso di sbigottimento. Non fosse per le morti e le devastazioni, che purtroppo aumentano di giorno in giorno, verrebbe quasi da dire che a livello di discorsi e di percezione pubblici si è ancora inchiodati a quel 24 febbraio 2022, quando i primi missili si abbattevano sulle città ucraine e le truppe si muovevano oltre confine per accerchiare la capitale.

Si prenda, per esempio, la lunga intervista che a inizio di questo mese il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha concesso al giornalista statunitense Tucker Carlson: la ripetizione di concetti già espressi altrove, la rilettura della storia in chiave imperialista, un vittimismo di fondo tipico di chi vuole presentare agli occhi del mondo le proprie scelte violente e genocidiarie come necessità difensive. Semmai i paragoni con la Seconda Guerra Mondiale circolati negli ultimi tempi potrebbero sembrare scandalosi (e, senza ombra di dubbio, sono quantomeno impropri), ci ha pensato lo stesso Putin a porsi su un piano analogo a quello del Führer: «Nel 1939 la Polonia si è dimostrata chiusa a qualsiasi compromesso e Hitler non ha potuto far altro che mettere in atto i propri piani», ha affermato nella suddetta intervista, in un certo senso contraddicendo il noto proclama per cui l’invasione sarebbe stata mossa con l’obiettivo di “denazificare” l’Ucraina. Ma questa non è certo la prima, né sarà presumibilmente l’ultima, delle contraddizioni legate alla retorica con cui Mosca cerca di giustificare le proprie azioni.

Anzi, da un punto di vista percettivo, è proprio la guerra stessa ad apparire ambigua e paradossale in sé: nei mesi precedenti all’invasione l’amministrazione statunitense, dopo aver raccolto numerose prove attraverso un lavoro d’intelligence, aveva avvisato l’opinione pubblica mondiale di un anomalo ammassamento di truppe da parte della Russia al confine ucraino e Mosca dal canto suo aveva di fatto annunciato la volontà di scatenare una guerra presentando un ultimatum, ma in generale la notizia è stata accolta con un misto di incredulità e irrisione (qui in Italia, Limes aveva assicurato che si trattasse di forzature diplomatiche, mentre il Fatto Quotidiano aveva parlato esplicitamente di “fake news” da parte Usa); similmente né in Russia né in Ucraina si verificavano significative ondate di patriottismo o chiamate all’offensiva da parte dei rispettivi governi, eppure la guerra era già iniziata di fatto per entrambe le parti otto anni prima con l’annessione della Crimea e il conflitto separatista del Donbas: certo, il cessate il fuoco imposto attraverso gli accordi di Minsk – in realtà continuamente violato – sembrava tenere, e anzi si andava sempre più verso un congelamento definitivo dei combattimenti, mentre la popolazione ucraina dava prova di voler lasciarsi dietro le spalle la ferita di quegli eventi; eppure, ancora, basterebbe riprendere le cronache del 2014 per provare un senso di déjà vu: «Ora non ci sono più limiti all’imprevedibilità di Putin, va verso l’escalation militare», sosteneva in un summit europeo del settembre di quell’anno l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel raccontato fra gli altri dal New York Times e La Repubblica. Intensificava le preoccupazioni l’allora Presidente lituana Dalia Grybauskaite: «La Russia è in guerra con l’Europa», il tutto mentre dal canto suo Putin (almeno per come lo riportava il presidente dell’Unione Europea José Barroso) si diceva sicuro di poter “prendere Kyiv in quattro giorni”, se questo si fosse reso necessario. La tensione insomma era già alle stelle e già a livello internazionale e comunitario si discuteva di invio di armamenti all’Ucraina per far fronte alla minaccia russa (con la significativa opposizione di Ungheria e Slovacchia, tanto per continuare i parallelismi con l’oggi, e di Cipro).   

Dunque, tagliando un poco con l’accetta: l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe essere vista con buoni argomenti una guerra in tutto e per tutto annunciata, quasi nell’ordine delle cose, ma al tempo stesso ritenuta impossibile e creduta possibile da pochi, pochissimi. Come si spiega questo paradosso? Da una parte, sicuramente, col fatto che comunque un’aggressione militare con scopi di annessione territoriale risulta un fenomeno altamente improbabile nell’ordine globale vigente e che gli intenti delle dirigenze europee e statunitensi da un lato e quella russa dall’altro sembravano convergere verso la necessità di un compromesso o di una de-escalation; dall’altra, forse, sussiste una sostanziale incapacità di comprensione dei disegni di egemonia globale o regionale perseguite dall’élite russa da alcuni decenni a questa parte – incomprensibili, ci si potrebbe spingere a dire, anche per la stessa élite russa, almeno in una certa misura. Lo scrittore e critico letterario Viktor Erofeev – dissiden…

“L’Ucraina è il campo di battaglia su cui si gioca il futuro dell’Europa”. Intervista a Karl Schlögel

In un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione all’Ehess di Parigi del suo nuovo volume in francese sulla guerra in Ucraina – “L’avenir se joue à Kyiv. Léçons ukrainiennes” (“L’avvenire si gioca a Kiev. Lezioni ucraine”) –, lo storico tedesco Karl Schlögel evidenzia l’importanza per l’Europa della guerra di liberazione dell’Ucraina. “È il popolo ucraino, attaccato dalla Russia neo-totalitaria e dal russofascismo, a resistere in prima linea per l’Europa. Combattendo per la sua libertà, difende anche la nostra”.

La Bestia del nuovo fascismo. Intervista a Paolo Berizzi

Paolo Berizzi, giornalista di “Repubblica” che da anni conduce inchieste sul nuovo fascismo, ha recentemente pubblicato per Rizzoli il libro “Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Il ritorno della Bestia non coincide con quello del fascismo storico ma con quello di un fascismo nuovo, pop, che però con il primo condivide alcune caratteristiche, le peggiori che l’Italia abbia espresso e continua a esprimere. Ne parliamo con l’autore, che vive da anni sotto scorta in seguito a minacce di gruppi neofascisti e neonazisti.

Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

Il 16 maggio 2024 ricorre il decimo anniversario del lancio, da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, dell’offensiva chiamata Operazione Dignità. Con l’occasione ripercorriamo le tappe fondamentali del decennio appena trascorso per contestualizzare lo stato attuale della Libia. O meglio, delle Libie.