Shoah, la memoria svuotata

Mentre in una sorta di mondo alla rovescia le destre post-fasciste, razziste e storicamente antisemite, per meri calcoli geopolitici, si ergono a paladine della lotta contro l’odio antiebraico, la Shoah viene ridotta a uno schema generale di oppressione, la sua memoria assimilata, strumentalizzata e commercializzata.

“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”, scriveva Primo Levi in I sommersi e i salvati. Storia e memoria non vanno mai di pari passo, piuttosto la conservazione della seconda aiuta a diffondere la prima. Nel caso della Shoah, il rapporto tra memoria e storia è sempre stato caratterizzato da contrapposizioni e conflittualità. Le dimensioni, le torture fisiche e psichiche, l’uso chirurgico della tecnologia moderna per umiliare e uccidere, hanno reso la Shoah l’archetipo del genocidio, la quintessenza della violazione dei diritti umani. La Shoah è diventata il simbolo della barbarie e dell’odio etnico, religioso e razziale; la sua memoria è andata oltre quella della storia. La Shoah ha assunto con il passare del tempo il ruolo di spartiacque della recente storia europea ed è al centro della costellazione di discorsi con cui definiamo noi stessi e le società in cui viviamo. Ogni evento traumatico, precedente e successivo alla Shoah, appare a seconda dei casi come una derivazione, un’approssimazione per difetto, un simile, un opposto.

Sugli usi e gli abusi della memoria della Shoah esiste una corposa letteratura. Il dibattito si colloca all’interno di una riflessione più ampia circa la “bulimia commemorativa” che caratterizza le società contemporanee, affette dal bisogno compulsivo di costruire identità collettive che ruotano intorno al ricordo di un trauma. Da più parti si ripetono gli inviti alla memoria dei crimini del passato, secondo l’equazione del “ricordare perché non accada mai più”. Una equazione – qualcuno direbbe – ormai priva di significato, ritualizzata da una parte, banalizzata dall’altra, strumentalizzata dai più. L’esercizio della memoria appartiene a una serie di esortazioni diffuse nel discorso pubblico, in apparenza condivisibili da tutti, in quanto rivolte a finalità morali ch…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.